La storia locale, questa sconosciuta, di Giorgio Petracchi (2003)

La nascita di questa rivista rappresenta il punto d’arrivo del percorso culturale di un gruppo di studiosi che hanno collaborato alla stesura del IV volume della Storia di Pistoia. Durante quella ricerca apparve evidente che la produzione storiografica locale relativa al periodo che va dalla fine del Settecento a tutto il Novecento risultava poco autorevole, scarsamente consolidata e procedeva in modo discontinuo tra lacune e cesure. Mancavano (e mancano tutt’ora), salvo rarissime eccezioni, pubblicazioni di fonti riferite all’età moderna e contemporanea; le monografie non sono numerose, lo stesso può dirsi per le biografie (per lo più condotte con intento apologetico e non con il metodo della critica storica).
Del resto, questo stato di cose era la conseguenza dell’impostazione impressa fin dalle origini alla Società pistoiese di storia patria dal suo primo presidente e fondatore, lo storico boemo Ludovico Zdekauer. Il quale, in quanto storico del diritto, privilegiò la storia del libero Comune come quella in cui Pistoia e i pistoiesi, almeno dal punto di vista giuridico formale, hanno espresso il massimo esempio di originalità. Dopo la perdita dell’indipendenza, la storia di Pistoia è stata, perciò, considerata come meno meritevole di attenzione. E quindi meno studiata. Ne è risultato un vero e proprio “paradosso storiografico”, secondo il quale i cosiddetti “secoli bui”, per quanto riguarda Pistoia e il suo territorio, non sono da riferirsi all’alto o al basso Medioevo, su cui è stata fatta abbastanza luce. I “secoli bui” sono invece quelli più vicini a noi, i secoli dell’età moderna. E man mano che ci si avvicina alla contemporaneità, il buio storiografico si infittisce.
Fu questa constatazione che indusse il gruppo degli studiosi pistoiesi a non disperdere l’esperienza acquisita, anzi li spinse a costituire la piattaforma di un progetto culturale che vede oggi la luce. Il titolo della rivista indica con chiarezza l’ambito degli interventi, la peculiarità più vera della ricerca: tutto ruota attorno al concetto di storia locale.
Che cosa si intende per storia locale, infatti? Il sottotitolo del IV volume della Storia di Pistoia, Nell’età delle rivoluzioni delinea già la linea interpretativa che percorre tutto il volume.
La storia locale si può intendere come l’adattamento incessante della complessità del reale all’incalzare di eventi prodotti da un centro propulsivo (per fare un esempio in tal senso, la presa della Bastiglia a Parigi portò alla presa dei castelli dei nobili nella provincia francese).
L’irruzione nella storia europea della cosiddetta “prima modernità”, il processo storico iniziato con il secolo dei Lumi e proseguito con la Rivoluzione Francese, la cui periodizzazione si estende fino alle soglie del XXI secolo, evidenzia chiaramente i contorni della vicenda locale in epoca moderna.
Questa “prima modernità” fu caratterizzata da un evidente contrasto fra il modello universalistico che si espandeva e i modelli delle culture tradizionali, regionali e comunitarie, che esso incontrava nel suo cammino. Rivoluzione e guerra irruppero in Toscana in un mondo statico di preti, contadini e proprietari terrieri, caratterizzato dalla lentezza e dalla continuità del tempo. E di ogni fenomeno tradizionale misero in discussione la genesi culturale; tutti quei principi che ne garantivano la continuità vennero contestati. Per fare un altro esempio, il concetto di patria, inteso come luogo natio, fu dilatato, non senza trovare resistenze – politiche, ma soprattutto psicologiche e antropologiche – fino a coincidere con quello di stato nazionale; ma già erano entrati in circolazione anche concetti come “cosmopolita” e “cittadino del mondo”.
E’ perciò illusorio ritenere che dopo l’irruzione della “prima modernità” il contesto locale rimanga locale. Non è più così. E tuttavia può apparire tale poiché certa pubblicistica ha continuato a presentare il locale come un fenomeno a circuito chiuso, che si alimenta in se stesso, indulgendo con atteggiamento nostalgico, o pigrizia mentale, al campanilismo, al localismo. In conseguenza di questa anomalia, Giuseppe Deiana ha potuto recentemente presentare la storia locale come una illustre “sconosciuta”. E’ necessario, perciò, distinguere tra le apparenze locali e le loro trasformazioni in realtà sociali composite, avvenute con l’assimilazione di elementi cosmopoliti.
L’irruzione dell’idea cosmopolita frantuma la continuità delle culture particolari in una miriade di contesti. Il contesto sociale subisce una modificazione dall’interno costante, una rivoluzione/evoluzione strisciante, che conosce momenti di omologazione e momenti di resistenza. Questa dialettica o per esprimerci con categorie storiografiche, ora il prevalere del criterio imitativo (imitazione da parte della periferia di ciò che avviene in un centro), ora il prevalere della partecipazione marginale, (riluttanza, ritardo, quando non proprio resistenza alle condizioni create dal centro) fa emergere in tutta la sua evidenza il carattere originale di una cultura, la sua peculiarità più pura. La resistenza all’omologazione in quanto mutamento, rivela la peculiarità ancestrale, il radicamento di una cultura; l’adattamento alla nuova situazione rivela la sua peculiarità cosmopolita.
Il punto d’arrivo della “prima modernità”, che è coinciso con la società organizzata nella forma dello Stato nazionale, in cui lo Stato ha il ruolo di creatore, controllore e gerente della società, non è mai riuscito ad assorbire tutta la ricchezza delle culture particolari, che permangono e si sviluppano nello spazio culturale nazionalmente unificato.
La ricerca storica ricava la struttura della storia generale e la sua evoluzione attraverso l’accostamento, la ricomposizione, il controllo dei più svariati contesti locali. Perciò, come è necessaria la conoscenza dei nodi storici fondamentali, altrettanto necessaria appare la conoscenza della storia locale per seguire le nuove prospettive aperte dalla storia generale.
Oggi, poi, in epoca di globalizzazione, o meglio di “transnazionalizzazione” come Ulrich Beck chiama la “seconda modernità”, la dimensione della storia locale, intesa in senso lato come storia regionale, o storia urbana, o storia comunitaria, o distretto socio-ecomico, è sentita come ancora più necessaria. I processi globalizzanti avvengono localmente, e per adattarsi alle culture locali devono riconoscerle, imparare a dialogare con esse, in un continuo processo dialettico fra globale e locale. Robertson ha riassunto tutto questo nel concetto di “glocalizzazione”.
Consapevole di ciò, ossia che ogni luogo rappresenta una frontiera culturale, etnica, religiosa, lo storico interessato al locale non deve limitarsi a celebrare il cammino percorso nel solco pur nobile della tradizione erudita, o a “ricordare ciò che gli altri dimenticano” (Eric Hobsbawm); egli deve rappresentare il locale, sia come riflesso della tradizione, sia come trasmissione di ciò che del passato è culturalmente significativo e lo connette al presente. Siamo giunti improvvisamente ad un crocevia della storia accorgendoci di aver smarrito il senso della continuità storica, che è successione di generazioni. La transizione che stiamo vivendo e in cui confluiscono i due processi congiunti, la fine d’un’epoca e l’inizio d’una altra, interpella lo storico non più (o non soltanto) come “profeta del passato”, ma come anello di congiunzione tra una generazione ignara del passato e l’altra timorosa del futuro. Gli antichi pensavano al saggio negli stessi termini: ossia come a colui che sa dove andare perché sa da dove è venuto. Questo è il compito della storia locale, appunto, pensata come chiave di volta tra passato e futuro, non prigioniera di una prospettiva particolaristica, né proiettata verso un illusorio pseudo-universalismo.
Con la premessa che anche la storia locale non esiste se non come l’insieme di tante storie, questa rivista intende costituire il luogo strategico della collaborazione, del confronto delle idee e delle interpretazioni, di studio e di ricerche pluridisciplinari, con un’ambizione di lungo periodo: quella di poter contribuire all’educazione civica, in definitiva a rafforzare la “polis”, finalità comuni alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, ente promotore e sostenitore della rivista.

 

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